immigrati clandestini o regolari di Pianura. È un neonato nero che
non sa di avere ventisei giorni di vita e, alle spalle, già
un’amara esperienza del mondo. Abou è il volto di un caso politico
e sociale. Forse la prima volta in Italia in cui una norma – quella
voluta dalla Lega nel pacchetto sicurezza, quella che invita i
medici a denunciare i pazienti senza permesso di soggiorno: ma a
tal punto controversa da avere spaccato persino i compattissimi
deputati del Pdl – è stata applicata prima ancora di diventare
tale.
"Un caso illegittimo, gravissimo", denuncia l’avvocato napoletano
Liana Nesta. "Delle due l’una – aggiunge il legale – o
nell’ospedale napoletano Fatebenefratelli c’è un medico o un
assistente sociale più realista del re che ha messo in pratica una
legge non ancora approvata dagli organi della Repubblica; oppure
qualcuno ha firmato un abuso inspiegabile ai danni di una madre e
cittadina". Una storia su cui promettono battaglia anche gli
operatori dell’associazione "3 febbraio", da sempre al fianco degli
immigrati, anche clandestini, per le battaglie di dignità e
rispetto.
La storia di Abou e di sua madre Kante è il percorso sofferto di
tante vite clandestine, costantemente in bilico tra vita e
disperazione, morte e rinascita. Kante è vedova di un uomo ucciso,
quattro anni fa, dalla guerra civile che dilania la Costa d’Avorio e la
sua città di Abidjan. Rifugiatasi in Italia nel 2007, inoltra subito
richiesta di asilo politico, che le viene negato due volte: e
attualmente pende il ricorso innanzi al Tribunale di Roma contro quella
bocciatura.
Intanto, stabilitasi a Napoli, Kante si innamora di
un falegname di Costa d‘Avorio, resta incinta, si fa curare la
gravidanza difficile presso l’ospedale San Paolo, con sé porta sempre
alcuni documenti e la fotocopia del passaporto, trattenuto in questura
per un’istanza parallela di permesso di soggiorno, non ancora risolta.
Quando
– il 5 marzo scorso – Kante arriva all’ospedale Fatebenefratelli per
partorire il suo bimbo ("al San Paolo non c’era un posto"), dal
presidio sanitario scatta un fax verso il commissariato di polizia di
Posillipo che chiede "un urgente interessamento per l’identificazione
di una signora di Costa d’Avorio". Ovvero: la denuncia. Esattamente ciò
che la contestatissima norma – voluta dalla Lega nell’ambito del
pacchetto sicurezza, e già approvata al Senato – chiede. Proprio il
nodo che ha provocato il dissenso di un centinaio di deputati del Pdl,
lo scorso 18 marzo. In testa, la deputata Alessandra Mussolini, che
guidava la rivolta con un esempio-limite: "Far morire una donna
clandestina di parto perché non può andare in ospedale altrimenti i
medici la denunciano? Eh, no. Inaccettabile".
Aggiunge l’avvocato
Nesta: "Siamo di fronte a un’iniziativa senza precedenti. Non è mai
accaduto che una donna extracomunitaria, che si presenta al pronto
soccorso con le doglie, ormai prossima al parto, venga segnalata per
l’identificazione", spiega pacatamente Liana Nesta. E aggiunge: "Come
se non bastasse, Kante non ha potuto allattare suo figlio nei suoi
primi giorni del ricovero: lo ha visto per cortesia di alcuni sanitari
che glielo hanno adagiato tra le braccia, ma non ha potuto allattarlo".
La Nesta è una legale impegnata da anni nelle rivendicazioni dei
diritti essenziali, al fianco di immigrati o di parenti di innocenti
uccisi dalle mafie. L’ultima condanna, in ordine di tempo, la Nesta
l’ha ottenuta a dicembre scorso, come avvocato di parte civile, per i
killer di Gelsomina Verde, la ragazza innocente assassinata e poi data
alle fiamme dai sicari di Scampia. Un’altra fragile vita per la quale
invocare giustizia.
(31 marzo 2009)
L’incubo di Kante in ospedale
"Mi hanno strappato il bambino"
Costa d’Avorio in guerra civile, e per lo schiaffo subito in
Italia. Kante è stata denunciata dopo il parto: è clandestina.
Occhi appannati dal dolore, ma ritrovano vita quando Abu, 26 giorni
che gli sono bastati a superare i 3 chili e mezzo di peso, si volta
verso il suo seno. Ha fame Abu. Vuole il latte. "Ma in ospedale mi
hanno impedito di allattarlo, per quattro giorni". Kante viene
dalla Costa d’Avorio. È in Italia da due anni, da quando sulla
porta di casa le milizie governative del presidente Gbagbo le
uccisero il marito. "L’ho visto morire dinanzi ai miei occhi. L’ho
visto uccidere. A stento sono riuscita a sottrarmi ai miliziani che
volevano portarmi via, sequestrarmi. E sono fuggita dalla guerra
civile. Ho chiesto asilo politico qui in Italia, ma sono ancora
senza documenti".
Il giorno della nascita di suo figlio Abu, il 5 marzo scorso, è
cominciato, per Kante e il suo attuale compagno, un nuovo incubo.
"In ospedale ci hanno chiesto i documenti, non gli è bastata la
fotocopia del passaporto. Non gli è piaciuta la richiesta di
soggiorno ormai scaduta. E per oltre 10 giorni mi hanno tenuta
separata dal bambino". Undici giorni è rimasto Abu in ospedale:
"Non lo hanno dimesso, non me lo hanno dato, fino a quando la
Questura ha confermato la mia identità. Ho temuto che me lo
portassero via, che non me lo facessero stringere più tra le
braccia". Neppure il padre del bambino ha ottenuto che venisse
dimesso: "Non ero presente al momento del parto – racconta l’uomo,
Traore Seydou – E quindi il piccino è stato registrato con il nome
della madre. "Non possiamo consegnarlo a te" mi hanno spiegato in
ospedale. D’altra parte anche io sono senza permesso di soggiorno,
in attesa che venga accolta la mia richiesta di asilo politico".
Kante ha 25 anni, 33 il suo nuovo compagno, Traore. "Il parto è
andato bene, nessuna complicazione. Ma non mi sono allontanata
dall’ospedale fino a quando non mi hanno permesso di portare Abu
con me. Sono rimasta lì, per 11 giorni. Certo ora, col bambino,
diventa più difficile trovare un lavoro qui a Napoli. Però per 6
mesi non potranno cacciarmi dal Paese". Niente foglio di via, per
chi ha partorito sul territorio nazionale. "Ma dopo?" L’idea di
tornare in Costa d’Avorio la terrorizza. "Anche se mi piacerebbe
rivedere il mio primo figlio, che ora ha 5 anni e vive con la
nonna". Traore, che in Africa faceva il falegname, si arrangia con
lavoretti che riescono appena a sfamare la famiglia e a
permettergli di mantenere la povera casa, a Pianura, che i due
dividono con un’altra coppia.
"Troviamo assurdo quello che ci è successo – raccontano entrambi –
credevamo che l’Italia fosse un Paese ospitale. Qui la gente non è
cattiva. Mai sentito di madri denunciate dagli ospedali in cui
avevano partorito". Per i nove mesi della gravidanza Kante era
stata seguita – con tanto di accertamenti e controlli medici – dai
sanitari dell’ospedale San Paolo. Ed a nessuno era venuto in mente
di rivolgersi alle forze dell’ordine. "Ma il giorno in cui mi sono
venute le doglie al San Paolo non c’era posto. Quando alle 22.30
siamo andati al Pronto soccorso di quest’ospedale mi hanno
assicurato che tutto procedeva regolarmente, ma che era presto per
ricoverarmi. Hanno aggiunto che comunque posti non ce n’erano e
quindi, dopo qualche ora, ci siamo rivolti al Fatebenefratelli. Ed
è lì che dovremo portare il bambino ad un controllo medico, tra
qualche giorno".