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Le quattro giornate di Napoli


Continua e si allarga la mobilitazione sociale contro razzismo e omofobia e il tentativo di insediamento di gruppi  dichiaratamente neofascisti nei nostri quartieri. Come Casapound, organizzazione neofascista che prova a gestire una struttura comunale a Materdei!! La “rete napoletana contro il neo-fascismo, il razzismo e il sessismo” sta raccogliendo sempre più adesioni di collettivi studenteschi, associazioni, movimenti e realtà di precari, che hanno permesso di costruire un fitto calendario di appuntamenti che attraversa e attualizza l’anniversario delle Quattro Giornate di Napoli. Fino alla Manifestazione di Liberazione del 30 settembre! A Napoli come a Roma in marcia contro il razzismo e l’omofobia.

27-30 settembre 1943: una generazione di napoletani ha combattuto per la libertà contro nazisti e fascisti!

27-30 settembre 2009: continuiamo a lottare per liberarci dalla precarietà, dall’autoritarismo, dal neo-fascismo, dal razzismo e dal sessismo!

Nessuno spazio ai neofascisti e ai razzisti, come Casapound, nei nostri quartieri! Nè a Materdei nè altrove!
JATEVENNE!!
Continued…

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“E’ cominciata la liberazione di Materdei”

 

Comunicato Stampa
  

Stamattina 1000-1500 persone, tra movimenti sociali,
studenti, realtà e forze democratiche del quartiere (come i giovani del
Pd e del Prc), insieme  all’ANPI hanno manifestato a Materdei contro
l’insediamento in una struttura comunale di un gruppo neofascista
afferente a Casapound, organizzazione dell’estrema destra già nota per
organizzare conferenze e iniziative sull’eugenetica e sui contributi
del fascismo sulla selezione della razza (guarda)…

Il presidio, organizzato in pochi giorni, visti i
numeri si è trasformato in corteo ed ha attraversato Materdei,
comunicando con gli altri abitanti, lambendo la struttura occupata dai
neofascisti, difesa e blindata dalle camionette della
polizia. La mobilitazione è terminata poi al Museo Nazionale bloccando
l’incrocio per contestare al comune di Napoli il silenzio sul fatto che
chi propugna la selezione della razza gestisca una struttura
comunale…!

 
La manifestazione ha ribadito la solidarietà e la
vicinanza anche a quelle famiglie che pure a Materdei stanno occupando
dei piccoli appartamenti. Molte delle realtà partecipanti al corteo
hanno praticato e praticano lotte per il diritto alla casa e agli spazi
sociali.

Ma queste lotte mai possono essere strumentalizzate da
un gruppo neofascista per insediarsi in città! Abbiamo già visto a
Roma, nelle loro aree di insediamento, il moltiplicarsi di aggressioni
verso i migranti, gli omosessuali, gli studenti attivi nei movimenti…
Napoli non ha bisogno di questa gente! Non possiamo permettere che
quindici naziskin, accompagnati da qualche "camerata" di Salerno e (per
l’occasione) anche di Roma, cerchino di riportare in vita un fantasma
che la storia ha cancellato, ma che oggi si insinua nel clima di
rancore sociale e paura del diverso irresponsabilmente alimentato da
troppe forze politiche.

 
Quella di oggi è perciò la prima di una serie di iniziative
nel quartiere fino alle quattro giornate di Napoli e a una grande
manifestazione il 30 settembre per la quale facciamo appello alle altre
forze democratiche della città. Uno
"Jatevenne Day"
che deve segnare la liberazione da questa gente e dalla cultura della
prevaricazione e della tirannia di cui si sentono eredi. Iniziative che
toccheranno anche i bisogni sociali e politici che sono una necessaria
conquista per difendere e allargare gli spazi di democrazia reale.

 


 

Rete napoletana contro il neo-fascismo, il razzismo e il sessismo

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Analisi (grammaticale) di un’aggressione omofoba

 

 

Frocio: nome comune di persona da pestare. La stagione della caccia al
frocio si è aperta anche quest’anno col primo caldo, col pestaggio
brutale di una ragazza a Piazza Bellini, e a Napoli, come in tutta
Italia, i vari episodi si sono susseguiti fino a quello degli ultimi
giorni al Gay Village. Poi ancora Napoli.
Il branco di giovanissimi, spossati dal caldo di una noiosa notte di
fine estate, aprono la battuta di caccia alla diversità, una qualunque.
Poteva essere il colore della pelle, ma anche i capelli strani, va bene
tutto, una diversità vale l’altra. Una coppia che parla inglese:
perfetto. “Qui si parla solo la nostra lingua” e giù di botte. Quando Hayk
viene colpito comincia a piangere: “frocio”. Frocio significa debole,
di chi cade e piange sotto i colpi, maschio di serie “B”. Insomma da
eliminare. Frocio non è l’ostentazione inguardabile e disgustosa tra
due persone dello stesso sesso, il gay e la lesbica sono da pestare
perchè… perchè no? Esiste qualcuno che ne parli bene in TV? Perfino i
preti e le suore che stanno sempre con gli ultimi degli ultimi non li
possono soffrire. Non esiste una legge, un riconoscimento, che sia
dalla loro parte, né il Papa, un ministro o un semplice sindaco.
Pestare un frocio si può fare. Figurarsi a Napoli, dove gli impuntiti
episodi degli ultimi mesi dimostrano proprio che tutto è ammissibile.
È seguendo questo filo che l’aggressione, quella sì, meriterebbe un
nome proprio: omofoba. Anche questa volta, però, gli aggrediti si sono
affrettati a smentire la propria omosessualità. La dinamica
dell’aggressione, l’inseguimento, le catene, il contesto degli ultimi
mesi, sembrano escludere l’estemporaneità dell’atto ponendo dinnanzi al
quesito di chi, di quale idea, quale movente ci sia dietro questi
episodi.
Altrettanto difficile è la definizione di chi la violenza l’ha agita,
di questi venti giovanissimi; non un bomberino, una testa rasata, una
svastichella o un innetto al duce che permettano di appellare queste
belve con il nome che meritano per i loro atti: fascisti. Allora tocca
ricorrere ad un nome sin troppo comune: branco.
Così l’aggressione non può essere definita omofoba , e gli aggressori
non possono essere definiti fascisti: di cosa parlano allora le
militanti?
Il più generale sentimento di disagio sociale, fatto da crisi,
disooccupazione, l’inadeguatezza di servizi pubblici come la scuola e
l’assenza di servizi sociali, sono il brodo di cultura
dell’imbarbarimento delle relazioni sociali. Gli stessi responsabili
del disagio, e dunque di questa crisi, spaventati dalla direzione che
può prendere l’inevitabile rabbia sociale, creano le linee di frattura
con cui dividere il blocco unico degli oppressi, proponendo anche dei
veri e propri punch ball contro cui scaricare l’odio. È la stessa paura
degli esiti di tanta rabbia sociale, che impone di diffondere
all’interno della società un sentimento d’insicurezza tale da indurre e
legittimare la delega e la professionalizzazion-e della violenza. Ecco
le città addobbate dall’esercito e illuminate dalle sirene.
È evidente che esiste una questione sicurezza, e questa riguarda
proprio coloro che sono i soggetti più bersagliati proprio dalle
politiche securitarie e dai sentimenti omofobi, razzisiti e fascisti di
questa italietta.
Da un lato le organizzazioni istituzionali, sempre attente a
normalizzare gli istinti più radicali dei soggetti che pretenderebbero
di rappresentare, si sono poste sulla stessa lunghezza d’onda dei
Governi, chiedendo un ulteriore militarizzazione delle città e
l’inasprimento del controllo sociale, cercando un dialogo anche con gli
ambienti più retrivi della nostra società, come i sindaci (Alemnanno)
che non autorizzano le manifestazioni LGBTIQ e non si risparmiano
dichiarazioni omofobe, come quelle che richiamano al contegno di questi
soggetti della stessa Iervolino, che oggi cade dal pero.

Dall’altro lato, opposto, i residui del movimento che pongono al centro
la questione dell’Autodifesa. Nome non affatto comune di tattica da
declinare (ovviamnete al femminile!). Il sentimento è quello della
rabbia, intensa, contro le continue vessazioni; violenza da
canalizzare, ma non delegabile, di cui gay lesbiche trans e donne non
vogliono più essere oggetto, ma soggetto. Autodifesa, per quanto sia
una parola difficile da nominare nella città teatro di questi ultimi
episodi rappresenta,anche se apparentemente impraticabile, la parola
d’ordine di chi comunque vuole porre una sponda al senso comune che si
sposta sempre più a destra e ancora una volta di più ogni volta che a
seguito di un’aggressione si chiede più polizia.

Il tutto in una città dove la sicurezza ha un costo, si vende e si
compra dalle famiglie che in ogni quartiere hanno un nome proprio, anzi
un cognome

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un centimetro

 

Non so chi sei, ma per favore credimi. Non c’è modo di convincerti che questo non è uno dei loro trucchi, ma non mi importa. Io sono Io, e non so chi sei, ma ti amo! Ho una piccola matita, che non hanno trovato. Sono una donna. La nascondo dentro di me. Forse non potrò scriverti più, così questa è una lunga lettera sulla mia vita. È la sola autobiografia che scriverò mai, e devo scriverla sulla carta igienica. Sono nata a Nottingham nel 1957 e pioveva sempre. Dopo le elementari e le medie, andai in un collegio femminile. Volevo fare l’attrice. Incontrai la mia prima amica a scuola. Si chiamava Sara, aveva quattordici anni e io quindici, eravamo tutte e due allieve della signorina Watson. I suoi polsi. I suoi polsi erano bellissimi. Durante l’ora guardavo il vasetto con dentro il feto di coniglio sotto spirito. Il signor Hird diceva che era una fase adolescenziale da cui si esce. Sara ne uscì. Io no. Nel 1973 smisi di fingere e presentai ai miei genitori una ragazza di nome Christine. Una settimana dopo mi trasferii a Londra e mi iscrissi ad arte drammatica. Mia madre diceva che le avevo spezzato il cuore. Era la mia integrità che mi importava. È così egoistico? è a buon mercato, però è tutto ciò che ci resta. È l’ultimo centimetro di noi che ci resta… ma in quel centimetro siamo liberi. Londra. A Londra ero felice. La mia prima parte fu quella di Dandini, in Cenerentola. Il mondo era bizzarro, ignoto e frenetico, con quelle platee invisibili dietro i riflettori incandescenti e quell’emozione spasmodica. Ero elettrizzata e sola. Di sera andavo nei club, ma me ne stavo più che altro per i fatti miei. L’ambiente non mi piaceva: c’erano tanti che volevano solo essere gay. Era la loro vita, la loro ambizione, non parlavano d’altro. Io volevo qualcosa di più. Il lavoro andava bene. Nei film mi davano parti sempre più importanti. Nel 1986 interpretai "The salt flats". Alla critica piacque, al pubblico no. Conobbi Ruth durante la lavorazione. Ci amavamo. Vivevamo insieme e il giorno di San Valentino mi mandava le rose.Dio mio, quanto avevamo. Furono i tre anni più belli della mia vita. Nel 1988 ci fu la guerra e non ci furono più rose. Per nessuno. Nel 1992, dopo il colpo di stato, cominciarono ad arrestare i gay. Presero Ruth mentre era fuori a cercar da mangiare. Perché hanno tanta paura di noi? La bruciarono con delle sigarette accese e la costrinsero a fare il mio nome. Firmò una denuncia secondo cui io l’avevo sedotta. Non gliene feci una colpa. Dio l’amavo, non gliene feci una colpa. Ma lei sì. Si uccise nella sua cella. Non sopportare d’avermi tradita, d’aver rinunciato a quell’ultimo centimetro. Vennero a prendermi. Dissero che avrebbero bruciato tutti i miei film. Mi rasarono i capelli, mi misero la testa in un water, si scambiavano barzellette sulle lesbiche. Mi portarono qui e mi diedero dei farmaci. Non sento più la lingua. Non riesco a parlare. L’altra donna gay che era qui, Rita, è morta due settimane fa. Credo che anch’io morirò presto. Strano che la mia vita debba finire in un posto terribile come questo, però per tre anni ho avuto ldee rose e non ho dovuto giustificarmi con nessuno. Morirò qui. Ogni centimetro di me perirà… tranne uno. Un centimetro. È piccolo e fragile ed è l’unica cosa al mondo che valga la pena d’avere. Non dobbiamo mai perderlo o venderlo o cederlo. Non dobbiamo permettere loro di portarcelo via. Non so chi sei, né se sei un uomo, o una donna, forse non vedrò mai la tua faccia. Non ti abbraccerò mai. Non piangerò mai con te. Non mi ubriacherò mai con te. Però ti amo. Spero che tu riesca a fuggire da qui. Spero che il mondo cambi e che le cose vadano meglio, e che ci saranno ancora rose per tutti. Vorrei poterti baciare. Valerie.
notte

 

(Alan Moore)

 

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Fatina Viola

 
WORKSHOP “ANTIFASCISMO VIOLA”

coordinano Le ribellule con Fika Sikula,
Collettivo Tiresia, Rete Impronte 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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